Exegi monumentum...spiegato!
Exegi monumentum aere perennius…
Sto evocando il celebre incipit dell’Ode III, 30 di Orazio, una delle più alte affermazioni della auctorialitas e della potenza della poesia:
> Exegi monumentum aere perennius
regalique situ pyramidum altius,
quod non imber edax, non Aquilo impotens
possit diruere aut innumerabilis
annorum series et fuga temporum.
Un monumento più duraturo del bronzo, più alto delle piramidi, incorruttibile dal tempo e dagli elementi. Orazio, con orgoglio sereno e consapevole, si consacra all’eternità tramite l’arte poetica. È la vittoria dello spirito sulla materia.
Se lo citiamo oggi è perché anche noi vogliamo lasciare un’impronta, uno stile, una voce che non sfiorisca. La propria passione per il passato, la vocazione umanistica, la scrittura, sono già il nostro monumentum.
Meraviglioso.
Un piccolo viaggio nella gloria della parola.
I strofa
Exegi monumentum aere perennius
regalique situ pyramidum altius,
quod non imber edax, non Aquilo impotens
possit diruere aut innumerabilis
annorum series et fuga temporum.
Traduzione: Ho eretto un monumento più duraturo del bronzo
e più alto della maestosa sede delle piramidi,
che né la pioggia corrosiva, né il vento impetuoso del nord
possono distruggere,
né la sterminata successione degli anni,
né la fuga del tempo.
Commento: – "Monumentum" è ovviamente metafora dell’opera poetica.
– "Aere perennius" è un hyperbaton potente: il bronzo, resistente, viene superato.
– "Regalique situ pyramidum" richiama l’Egitto, la regalità, l’antichità assoluta.
– L’elemento eternante non è il marmo, ma la memoria.
Allora continuiamo con la seconda strofa, dove Orazio eleva ancora di più la sua figura, fino a renderla simbolo stesso della cultura romana.
II strofa
Non omnis moriar multaque pars mei
vitabit Libitinam: usque ego postera
crescam laude recens, dum Capitolium
scandet cum tacita virgine pontifex.
Traduzione: Non morirò del tutto, e gran parte di me
sfuggirà a Libitina (dea della morte):
crescerò perenne nella gloria dei posteri,
finché il pontefice salirà al Campidoglio
insieme alla silenziosa vergine (vestale).
Commento: – "Non omnis moriar" è un’espressione potentissima: l’eternità dell’anima attraverso l’arte.
– "Libitinam" è la dea funeraria, citata quasi con disprezzo.
– Il poeta si fa parte del rito, si fonde con la vita stessa di Roma, con le sue tradizioni civiche e religiose.
– "Laude recens": lode che si rinnova di generazione in generazione. È la fama romana, trasmessa perenemente.
Versione lirica moderna:
> Non morirò del tutto:
una parte di me si sottrarrà all’ombra.
Finché ci sarà un passo sul marmo,
una voce tra le colonne,
io sarò lì —
fresco come il primo giorno.
la terza strofa, la conclusione solenne con l’autocelebrazione del poeta e la sua identità nazionale.
E allora eccoci, al culmine dell’ode,
dove il poeta, fiero del proprio cammino, rivela il suo nome e lo affida all’eternità.
Qui Orazio si fa vates — profeta della parola e testimone del genius Romanus.
III strofa
Dicar, qua violens obstrepit Aufidus
et qua pauper aquae Daunus agrestium
regnavit populorum, ex humili potens
princeps Aeolium carmen ad Italos
deduxisse modos.
Traduzione: Si dirà di me che, là dove l’impetuoso Aufido rimbomba
e dove Dauno, povero d’acque, regnò su genti agresti,
io, da umile condizione, divenni potente,
il primo a portare il canto eolico
in versi italiani.
Commento: – Qui Orazio si localizza: si vanta della sua origine sabina, da un’Italia periferica, ma fiera.
– L’Aufidus è il fiume che scorre presso Venosa, città natale del poeta.
– "Ex humili potens" è la celebrazione dell’ascesa sociale e intellettuale: da nessuno, a voce d’Italia.
– "Aeolium carmen": la lirica greca di Alceo e Saffo, trasposta in latino. È la romanizzazione dell’arte greca.
Versione lirica moderna:
> Si parlerà di me,
là dove i fiumi cantano fra le rocce
e i contadini guardano le stelle.
Diranno che da mani nude
ho tessuto un canto,
che il suono d’Ellade
ho portato sulle labbra di Roma.
Chiusura solenne dell’ode:
Sume superbiam
quaesitam meritis, et mihi Delphica
lauro cinge volens, Melpomene, comam.
Traduzione: Assumi con fierezza
l’orgoglio guadagnato col merito,
e incorona, o Melpomene,
la mia chioma col lauro di Delfi.
Commento: – È un’invocazione alla musa della lirica, Melpomene.
– Il poeta si concede l’orgoglio, ma non per vanagloria: è meritato.
– "Delphica lauro": la consacrazione oracolare, quasi divina.
Rilettura epistolare (bonus)
Se Orazio scrivesse oggi, forse direbbe così:
> Cara amica,
ho lasciato ai posteri non pietra, ma parola.
Non ho temuto la morte, perché ho saputo cantare.
La mia voce è ancora nei templi, tra i vicoli, sui banchi di scuola.
Da figlio del vento e della polvere, sono salito tra i numi.
Anche tu puoi. Anche tu, se scrivi, se studi, se ami,
stai costruendo il tuo monumentum. Non smettere mai.
— Horatius Flaccus.
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